Non accetto che si metta in caricatura una proposta sindacale sul reclutamento che credo molto meditata e seria, che non nasce da ideologie o inseguimento del consenso ma da una profonda, diretta e quotidiana conoscenza di come la scuola vive e funziona. Soprattutto respingo come totalmente infondata l’accusa di fare proposte che non tengono conto della necessità di garantire la qualità professionale di chi viene assunto. Parto da questo aspetto, per ribattere e rilanciare così: ma perché quelli che si preoccupano così tanto della qualità, dando a credere che basti un concorso selettivo a garantirla, non battono ciglio di fronte a una realtà che vede ogni anno coprire con personale precario quasi il 20% dei posti che funzionano? Sono tutti incapaci, ma siccome forse costano un po’ meno possiamo anche chiudere un occhio su come lavorano? Magari per anni e anni? Ma siamo seri, per favore, e rispettosi delle persone di cui parliamo.
Noi non abbiamo alcuna obiezione sul fatto che si debbano bandire concorsi con regolarità, per dare a tutti e anche ai più giovani una chance di accesso al lavoro nella scuola. Crediamo che l’esperienza dimostri come questo non basti né a garantire la copertura del fabbisogno, né a eliminare la “supplentite”. Di lavoro precario, per come la scuola funziona (quella vera, non quella immaginata o teorizzata) ci sarà purtroppo sempre bisogno, l’importante è che vi si ricorra al minimo indispensabile, e che la precarietà del lavoro non duri in eterno. Credo che dopo tre anni di lavoro precario – perché di questo stiamo parlando – si possa parlare di un’esperienza acquisita e da valorizzare; abbiamo anche detto che il lavoro precario dovrebbe essere sostenuto da supporti di formazione in servizio, e niente impedisce di monitorarlo. Con queste premesse, la stabilizzazione non diventa più un privilegio, ma un atto di giustizia.
Quanto ai costi, non c’è dubbio che il precariato diffuso consente qualche economia, per il trattamento economico meno favorevole dei supplenti rispetto al personale di ruolo. Ora, a parte il fatto che si tratta di una disparità del tutto in contrasto con le direttive europee, che escludono discriminazioni legate alla tipologia dei contratti, ci chiediamo se partiti che per storia e cultura dovrebbero essere attenti al lavoro non dovrebbero concedersi un attimo di riflessione prima di sparare a zero sul presunto spreco di risorse che rappresenterebbe la stabilizzazione del lavoro precario. Giocando sull’equivoco per cui assumere i precari significherebbe aumentare i posti di lavoro. Non è così, non si tratta di questo, ma solo di rendere stabili posti di lavoro di cui comunque ogni anno (attualmente oltre 150.000!) la scuola ha bisogno per funzionare. Un preciso interesse anche della scuola, per migliorare l’efficacia e la qualità del servizio scolastico.
Spiace che questi temi siano oggi finiti nel tritatutto della campagna elettorale, con annesse polemiche interne alla maggioranza di governo. Noi ne parliamo non da oggi e non vediamo l’ora di poterne riparlare a elezioni svolte e a risultati acquisiti. Nel frattempo, non sappiamo se le aperture del ministro saranno sufficienti a dirottare sul suo schieramento valanghe di consensi: ma pure chi “qualche” consenso lo ha perduto anche per non aver dato a suo tempo il giusto ascolto al mondo della scuola, si chieda se lanciarsi in polemiche poco meditate, compresi attacchi sorprendenti al lavoro e agli accordi fatti dai sindacati, sia il modo migliore per recuperarne un po’.
Roma, 25 maggio 2019
Maddalena Gissi, segretaria generale CISL Scuola