Del disegno di legge Buona Scuola, i cui contenuti sono stati illustrati al termine del Consiglio dei Ministri di giovedì 12 marzo 2015, sono circolate numerose versioni prima di approdare a quella definitiva, con il testo trasmesso alle Camere per l’esame e l’approvazione.
Modifiche anche di un certo rilievo si sono susseguite, a riprova del fatto che le difficoltà incontrate dal governo nella definizione del suo provvedimento sono forse ben superiori a quanto lasci trasparire la consueta baldanza dei suoi annunci. In questo lavoro che alleghiamo, ripercorriamo il testo del disegno di legge riportando, di ogni articolo, una sintesi del contenuto ed eventuali note di commento.
L’esordio del provvedimento è tutto incentrato sull’obiettivo di dare piena attuazione all’autonomia scolastica, con il proposito esplicito di revisione del quadro giuridico definito dall’art. 21 della Legge “Bassanini” e dalle relative norme ordinamentali, che vengono comunque richiamate.
Nelle more di tale revisione ed è a dir poco sorprendente che si ipotizzi ancora una fase transitoria dopo quasi 20 anni da quell’evento legislativo, viene rafforzata la funzione del dirigente scolastico per garantire l’immediata e celere gestione delle risorse umane, finanziarie, tecnologiche e materiali. Proceduralmente, quindi, si tenderebbe a liberarlo il più possibile dai vincoli di preventiva acquisizione di proposte e pareri, sottraendo poteri deliberativi ad altri soggetti collegiali; ciò avviene con disposizioni immediatamente precettive ed altre, più generali e organiche, attraverso un’ampia delega legislativa, che dovrà essere esercitata entro 18 mesi dall’entrata in vigore della legge, nel rispetto di pressanti principi e criteri direttivi, cosicché in 1 anno e mezzo il nostro attuale sistema scolastico pubblico verrà sostanzialmente “riformato, adeguato e semplificato”.
Evidentemente per il Governo le cause che avrebbero finora impedito all’autonomia scolastica di esplicitare tutte le sue potenzialità risiederebbero sostanzialmente nella scarsa potestà decisionale dei dirigenti scolastici. Si riprende così il noto passaggio delle Linee Guida per la Buona Scuola del settembre scorso, nelle quali si affermava testualmente che i “presidi”, essendo contemporaneamente titolari delle relazioni sindacali, responsabili legali dell’istituzione scolastica , datori di lavoro e stazione appaltante “…sono responsabili di (quasi) tutto ; ma non hanno nelle loro mani le leve di governo per assumere al meglio tali responsabilità”. La filosofia che traspare dal disegno di legge, con un cambiamento di accenti piuttosto marcato rispetto al rapporto Buona Scuola (tutto centrato su piano assunzionale e carriere per merito), si può così sintetizzare: l’autonomia scolastica si valorizza rafforzando ruolo e poteri del dirigente scolastico.
È notevole la distanza rispetto a un’idea di autonomia, che è anche la nostra, centrata sulla scuola come comunità che istruisce ed educa, attraverso l’azione di soggetti che vi agiscono a vario titolo ma con alto livello di condivisione e corresponsabilità. La scuola come ce l’hanno affidata la Costituzione e l’ordinamento da essa discendente, la scuola della “partecipazione” di tutte le componenti che la pongono in essere, ciascuna con distinti ruoli, prerogative e responsabilità, la scuola dell’ ”inclusione” e della “solidarietà interprofessionale”. L’impressione che si ricava dal DDL è quella di un’enfasi insistita sulla figura del “capo” anche quando si attribuiscono compiti e potestà alle “istituzioni scolastiche”, quasi sempre tendenti a essere identificate nella figura del loro “rappresentante legale”. Nella scuola dell’autonomia o si afferma la logica del “progetto condiviso”, o rischia di prevalere quella burocratica del “mero adempimento”. Sul piano della tecnica giuridica, rileviamo che l’impianto del DDL evidenzia l’intreccio tra norme immediatamente precettive e norme delegate, che diventeranno vigenti solo con l’adozione e l’entrata in vigore dei Decreti Legislativi. Ciò renderà complicata la vita e l’attività delle scuole, con prevedibile ripercussione nella dialettica dei rapporti interprofessionali, a causa dell’accavallarsi, talvolta contraddittorio, tra disciplina ritenuta vigente e disciplina delegata.