“La scuola è un bene comune che appartiene all’intero paese. Non può essere terreno di conflitto ideologico e politico, ma una priorità su cui far convergere gli interessi della comunità nazionale”. Lo scrivevamo nel 2008, in una lettera inviata a tutti i partiti impegnati nella campagna elettorale, lo ribadiamo oggi, in presenza di atti che preludono, come allora, a una possibile revisione delle Indicazioni nazionali, tema che pretende un supplemento di attenzione: a differenza di altri interventi di riforma, condotti tante volte con un approccio settoriale, per non dire estemporaneo, le Indicazioni nazionali vanno “maneggiate con cura”, trattandosi di un architrave del sistema.
Riguardano infatti i saperi che si ritengono fondamentali per il Paese, per la sua identità, per la sua coesione, per il suo futuro. Richiedono dunque ragionamenti e decisioni collocati all’interno di una visione globale, di lungo respiro, e quanto più possibile condivisa, onde evitare – citiamo ancora ciò che scrivevamo nel 2008 - che il possibile alternarsi di governi e maggioranze si traduca “in alterne e contrapposte fisionomie di sistema”. Crediamo che questo rappresenti una premessa indispensabile per dare senso e orientamento a ogni ipotesi di riforma.
Lavorare seriamente sulle Indicazioni significa innestare un processo che tocca tutta l’architettura del sistema di istruzione, in quanto i saperi sono finalizzati a un profilo educativo e culturale dello studente, investono le discipline con gli obiettivi di apprendimento e i traguardi attesi, con ricadute sugli ordinamenti scolastici, la ridefinizione dell’offerta formativa, l’organizzazione delle attività. E ancora, chiamano in causa la professionalità dei docenti, la formazione iniziale e in servizio, il reclutamento. Un’impresa del genere richiede anni di lavoro e massicci investimenti.
Ecco perché occorre avere uno sguardo lungo, che contempli un arco temporale pluriennale, nel quale progettare e attuare riforme organiche e coerenti, sostenute da investimenti integrati e coordinati; un impegno che, di sicuro, è destinato a coinvolgere più legislature e più Ministri, richiede accordi politici delicati e complessi, ma soprattutto deve nutrirsi di partecipazione, attraverso confronti con le organizzazione sindacali, con le associazioni professionali, con le associazioni degli studenti, dei genitori e di tutti i portatori di interesse. In sostanza, se si intende lavorare seriamente sulle Indicazioni, bisogna guardare al futuro e non al “qui e ora”.
Le attuali Indicazioni nazionali per il curriculum sono state varate nel 2012, a coronamento di un lavoro meticoloso e ampiamente partecipato svolto a partire dal 2007. Uno dei pochi lavori realizzati effettivamente secondo un disegno aperto, fondato su basi metodologiche solide, condiviso con tutti gli interlocutori interessati, tant’è che le Indicazioni nazionali sono, ad oggi, un documento ancora apprezzato e che può considerarsi, nonostante gli anni trascorsi e la progressiva accelerazione dei processi di cambiamento, pedagogicamente attuale.
Per quanto ci riguarda, non c’è un’opposizione di principio a riaprire, dopo 15 anni, il cantiere delle Indicazioni. Un’esigenza che probabilmente, per alcune ragioni, potrebbe ritenersi ineludibile. Basti pensare, ad esempio, all’accelerazione e, per molti aspetti, all’invadenza, nella didattica, del digitale, che in questi ultimi anni ha visto investimenti massicci senza una cornice di riferimento e, ancor meno, una compiuta ed esauriente collocazione all’interno delle Indicazioni.
Ma per quanto detto in precedenza, è più che lecito chiedere al Ministro la massima chiarezza sul mandato della Commissione di esperti, sui criteri e sugli obiettivi che ne orienteranno il lavoro, e soprattutto su come e quanto gli esiti di quel lavoro saranno oggetto di un successivo, ampio e aperto confronto, nel quale sia riconosciuto al mondo della scuola un ruolo da protagonista nei progetti e nei percorsi di cambiamento. Un fattore, quest’ultimo, che spesso si è rivelato decisivo per la loro qualità ed efficacia.
Chiediamo perciò al Ministro che il lavoro della Commissione, composta di esperti di sua fiducia, si limiti a definire, come da egli stesso accennato, un quadro iniziale di riferimento, a porre soltanto le premesse di una revisione che non potrà certo essere una commissione di esperti a condurre, richiedendo invece la definizione di un percorso ampiamente coinvolgente e partecipato, esigenza ineludibile quando l’oggetto in esame costituisce patrimonio comune e condiviso dell’intero Paese.
Roma, 7 maggio 2024
Ivana Barbacci, Segretaria Generale CISL Scuola